Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-08-2014, n. 18076
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Motivi della decisione
Nel primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 115 e 116 c.p.c.) e dei principi in tema di ripartizione dell'onere della prova. La corte del merito erroneamente avrebbe ritenuto che il raggiungimento dell'età adulta dei figli, benchè non autosufficienti e conviventi, determinasse un'inversione dell'onere della prova a carico del genitore richiedente l'assegnazione della casa coniugale, il quale sarebbe tenuto ad offrire la prova impossibile che i figli siano esenti da responsabilità per il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica, mentre al contrario dovrebbe essere l'altro genitore (interessato a liberarsi dall'obbligo di mantenimento) a dover dimostrare che la responsabilità per il permanere della disoccupazione sia imputabile agli stessi figli.
Il motivo è infondato.
Si deve premettere che l'assegnazione della casa coniugale non costituisce una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole, come risulta dai previgenti art. 155 c.c. e art. 155 quater c.c., comma 1, (quest'ultimo introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54) e dall'attuale art. 337 sexies c.c., comma 1, (introdotto dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) che, facendo riferimento all'"interesse dei figli", subordinano il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori: tale ratio protettiva, che tutela l'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso cui non sussiste alcuna esigenza di speciale protezione (v. Cass. n. 21334 e n. 18440 del 2013).
Nella specie, la corte veneziana ha ritenuto che, in considerazione dell'età adulta dei figli (entrambi ultraquarantenni), dovesse essere la madre interessata all'assegnazione della casa a dimostrare che, nonostante l'età e il percorso scolastico o lavorativo, i figli (di cui, tra l'altro, non si avevano altre informazioni) per ragioni insuperabili non avevano potuto raggiungere l'autosufficienza economica, mentre il motivo di gravame della R. era generico, limitandosi ad evidenziare lo stato di disoccupazione e la difficile contingenza economica.
Viene quindi in rilievo la delicata questione delle modalità idonee a fare emergere nel processo la condizione di non indipendenza economica ovvero di incolpevolezza dei figli maggiorenni conviventi per il mancato raggiungimento di essa, quale presupposto del sorgere e, soprattutto, del venir meno del diritto al mantenimento, ovvero dell'assegnazione della casa coniugale.
E' noto che l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, a norma degli artt. 147 e 148 c.c. (v., oggi, gli artt. 315 bis, introdotto dal D.Lgs. 10 dicembre 2012, n. 219, e art. 316 bis c.c. introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013 cit.), non cessa ipso facto con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi (v. gli artt. 155 quinquies e, oggi, art. 337 septies c.c.), ma il genitore che agisca nei confronti dell'altro genitore per il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore dei figli maggiorenni deve allegare il fatto costitutivo della mancanza di indipendenza economica, che è condizione legittimante l'azione (v.
Cass. n. 16612/2010) ed oggetto di un accertamento giudiziale che può essere compiuto, in caso di contestazione, mediante presunzioni desumibili dai fatti che l'attore ha l'onere di introdurre nel processo. Con analoghe modalità può essere accertato il venir meno del diritto al mantenimento, qualora il figlio, abusando di quel diritto, tenga un comportamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell'indipendenza economica. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell'obbligo di mantenimento che è tenuto a provare che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività produttiva di reddito dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e postuniversitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione (v., tra le tante, Cass. n. 19589/2011, n. 15756/2006).
L'onere della prova ben può essere assolto, anche in tal caso, mediante l'allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l'estinzione dell'obbligazione dedotta. Naturalmente, la valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell'obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o meno ch'essi siano con i genitori o con uno di essi, va effettuata dal giudice del merito, necessariamente, "caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all'età dei beneficiari", in guisa da escludere che la tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, com'è stato evidenziato in dottrina, in "forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani" (v. Cass. n. 12477/2004, n. 4108/1993). Se è vero che il giudice di merito non può prefissare in astratto un termine finale di persistenza dell'obbligo di mantenimento, il genitore obbligato è tenuto ad allegare e, ^ ove sia contestato, a dimostrare (anche in via presuntiva) di averlo posto nelle condizioni di raggiungere l'indipendenza economica, sfruttando al meglio le capacità e le competenze acquisite a conclusione del percorso formativo compiuto in sintonia con le sue aspirazioni e attitudini, salva ovviamente la possibilità per il figlio di dimostrare le specifiche ragioni, di tipo personale o economico-sociale (riferite al settore professionale prescelto), che gli hanno impedito di inserirsi nel mondo del lavoro e che giustificano la sua richiesta di prolungamento dell'obbligo genitoriale.
Il rigore del suddetto onere probatorio è proporzionale all'avanzare dell'età, sino al punto di non poter essere più assolto nelle situazioni in cui quell'obbligo deve ritenersi estinto con il raggiungimento di un'età nella quale il percorso formativo, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società. Il diritto del figlio si giustifica, infatti, all'interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, "tenendo conto" (e, a norma dei novellati art. 147 c.c. e art. 315 bis c.c., comma 1, "nel rispetto...") delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, com'è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione. Come rilevato in dottrina, la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell'obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società.
La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l'autonomia economica tramite l'impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perchè contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona, anche tenuto conto dei doveri gravanti sui figli adulti nei confronti dei genitori di "contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finchè convivono con essa" (v. l'art. 315, il cui testo è stato riprodotto nel novellato art. 315 bis c.c., comma 4).
Il motivo proposto dalla ricorrente è infondato poichè si basa su un'erronea lettura della sentenza impugnata. La corte del merito, infatti, pur impropriamente ipotizzando una inversione dell'onere della prova con riguardo alla dedotta incolpevolezza dei figli ultraquarantenni nel mancato raggiungimento dell'indipendenza economica, quale presupposto dell'assegnazione della casa coniugale invocata dal genitore convivente con essi, ha in realtà correttamente fatto applicazione dei principi innanzi richiamati. La corte, infatti, ha esattamente ritenuto che la pretesa di assegnazione della casa familiare fondata sul mero stato di disoccupazione dei figli, pur inserito in un contesto di crisi economica e sociale, non fosse meritevole di accoglimento.
Il corretto principio di diritto da enunciare è il seguente: Ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all'assegnazione della casa coniugale, il giudice del merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l'assegnazione dell'immobile, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all'età dei beneficiari; tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, tenendo conto che il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni (purchè compatibili con le condizioni economiche dei genitori), com'è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione.
E' infondato anche il secondo motivo. La ricorrente deduce vizio di omessa pronuncia sulla censura concernente la compensazione delle spese processuali disposta dal tribunale, nonostante fosse vittoriosa sulla domanda di addebito della separazione e non vi fosse soccombenza reciproca. Tuttavia la corte territoriale si è pronunciata sul motivo di appello concernente le spese del giudizio di primo grado, implicitamente rigettandolo. L'implicita conferma della statuizione del primo giudice da parte della corte di appello rende inammissibile la censura di difetto di motivazione di detta pronuncia del Tribunale.
Il ricorso è rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo l'intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2014